Anselmo Grotti

 L’evoluzione tecnologa delle automobili ha già superato una soglia critica di cui non abbiamo adeguata consapevolezza. Non mi riferisco qui al recente primo incidente mortale provocato dal sistema automatico di pilotaggio di una auto Tesla (su cui andrebbero fatte ben altre riflessioni di natura giuridica), ma a una situazione che è già reale e diffusa nelle auto di uso comune.

Tutte le auto recenti hanno una porta OBD: serve alla diagnostica elettronica in officina, ma si può comparare un tester per uso personale per 30 euro. Dà l’accesso a tutti i componenti elettronici. Ci sono mediamente decine di centraline collegate da una rete interna, potenzialmente raggiungibili via web. I sensori monitorano pressione delle gomme e altri parametri; la chiave elettronica emette onde radio che possono servire a copiare il sistema di accesso. Le “scatole nere” proposte da alcune assicurazioni sono attaccabili da pirati informatici. In sintesi, più le auto sono cariche di sistemi connessi (spesso molto utili, a volte solo ludici) più salgono le problematiche relative alla sicurezza dei dati. Oltretutto non basta che il proprietario sia prudente (quali dispositivi connettere, quali applicazioni installare…), ma è l’intera infrastruttura di rete della specifica casa automobilistica a dover essere progettata e mantenuta sicura, e questo ha i suoi costi.

L’uso diffuso nella nostra vita quotidiana, non solo in quanto automobilisti, di tecnologie sempre più connesse richiede informazione e competenze. Al contrario sembra prevalere un atteggiamento quasi “magico” verso sistemi facili da usare ma non da comprendere. Probabilmente i rischi di malfunzionamento dei sistemi digitali diminuiranno da un punto di vista tecnico, ma sarà molto più difficile gestire quelli “umani”: il furto, il terrorismo, la manipolazione commerciale e politica,