Anselmo Grotti

Qualche tempo fa ha avuto un certo eco la vicenda di una signora che, camuffatasi dietro un nome falso, che evocava una certa parte politica, aveva preso a fare pesanti allusioni sul coinvolgimento di uomini politici (Presidente della Repubblica compreso) in scandali e reati cui erano del tutto estranei.  Dopo un po’ di tempo è emerso che si trattava della moglie di un noto uomo politico, il quale si è dichiarato estraneo al fatto (…). La verità è emersa perché gli avvocati della signora le hanno spiegato che fare affermazioni così spericolate non è libertà di espressione, ma calunnia bella e buona. Successivamente si sono moltiplicati i casi di notizie inventate ad arte (“bufale”) per creare rapide sequenze di condivisione sui sociale da parte di indignati ma sprovveduti naviganti del web. Più la notizia è urlata e scandalosa più viene letta e diffusa. Da una parte ci sono la nostra superficialità e pigrizia, poiché non controlliamo la fonte e diamo credito a ciò che rafforza i nostri preconcetti. Dall’altra c’è un uso sempre più sistematico e direi scientifico della manipolazione. Si prendono nomi di giornali noti, li si modificano leggermente per creare l’equivoco. Si mettono insieme porzioni di verità e generose dosi di menzogne, si mescola bene con qualche immagine e il gioco è fatto, basta inserire il tutto in un social e poi, come un virus, la falsa notizia si diffonde. Qualcuno poi magari la smentisce, ma il danno è fatto, le opinioni sono state influenzate e l’obiettivo raggiunto. Non accade solo in Italia, basti vedere quanti dubbi ci sono negli Usa circa l’influenza di centri di disinformazione sul web, anche provenienti dall’estero.