La volta precedente ci siamo occupati del virtuale “buono”. Ma esiste una sua negatività (lo vedremo la prossima volta) e una sua ambiguità (ce ne occupiamo oggi).

Abbiamo visto che l’animale non abita il virtuale, ma le immediate percezioni del mondo fisico, senza memoria (e già Aristotele e Dante avevano detto che non c’è sapere senza il ricordo…). Più vicino a noi ha scritto Nietzsche (Considerazioni inattuali): “Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo…, legato brevemente con il suo piacere ed il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell’attimo e perciò né triste né annoiato… L’uomo chiese una volta all’animale: “Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della felicità?” L’animale voleva rispondere e dice: “Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire” – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre accanto al passato: per quanto lontano egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna… Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice “Mi ricordo”.

La memoria è un luogo virtuale affascinante e pericoloso. È capacità di imparare ma anche catena. Non è un dato di fatto: è qualcosa di cui prendersi cura. Altrimenti il virtuale crea non pochi guai, e lo vedremo la prossima volta.